Parlare di autismo richiede tempo
Parlare di autismo richiede tempo perché è una realtà neurobiologica che si manifesta in tantissimi modi diversi e in altrettante stereotipie (capita che si insinui anche fra varie patologie) che vanno comprese nella loro essenza e non solo catalogate come “stranezze” perché contengono diverse chiavi di lettura.
Gli approcci d’interazione con le persone autistiche sono innumerevoli ma, alla base, bisogna desiderare questa comunicazione,rispettando i tempi e soprattutto l’anima dell’interlocutore con cui si sta instaurando un contatto.
La persona autistica – che può sembrare passiva nell’apparenza – in realtà va considerata come una persona straniera che si avventura in un paese nuovo; in questo modo per chi gli è vicino sarà più facile comprendere le difficoltà che la persona autistica ha nel gestire la socialità, capire la gestualità e impostare un linguaggio che consenta alle due parti di comunicare.
Gli autistici non sono solo bambini, ma sono anche giovani, adulti, anziani, uomini, donne, eterosessuali e omosessuali, che vivono ambienti diversi con mansioni diverse e questa popolazione non è tutta uguale, non presenta le stesse caratteristiche pur avendo tratti comuni che hanno consentito diverse statistiche che li identificano .
Molte volte usciamo, viviamo, ci sposiamo, litighiamo, lavoriamo con persone che hanno tratti autistici senza saperlo e a volte senza che loro stessi lo sappiano, perché non tutti gli autistici sono inavvicinabili, non tutti si chiudono, non tutti sono distaccati, anaffettivi, o vivono per conto loro in un mondo inaccessibile e non è assolutamente vero che non ci sono margini di miglioramento, non è vero che è impossibile interagire non facendo parte della loro sfera affettiva, anzi a volte sono loro a nutrire ambienti veramente squallidi, cinici, algidi, perdonando l’imperdonabile e riaccogliendo l’inaccettabile.”
Leggere come interagire con una persona autistica fa passare la voglia di farlo perché appare come qualcosa di complicato e in certi casi impossibile, ma vi assicuro che quella passività iniziale, se viene pazientemente guidata, ascoltata e accolta, poi si manifesterà e si racconterà col proprio linguaggio creando i presupposti necessari a creare dei ponti su cui incontrarsi per comunicare più facilmente.
Se il neurotipico potesse ricordare quanto ha faticato ad imparare quello che oggi fa con naturalezza, sarebbe sicuramente più paziente..
e se ricordasse che molto di quello che fa è frutto di pura imitazione e non scaturisce da un suo bagaglio personale o solo da quello in cui crede essere una sua eccellenza, si incamminerebbe verso il prossimo con più naturalezza e con un atteggiamento che sicuramente sarebbe utile agli altri,ma soprattutto a se stesso.
Immagino il progresso autistico come un abile funambolo che, mentre procede nel suo percorso e ha una meta da raggiungere, non dimentica mai da dove è partito. I progressi vanno valutati sempre in base alla partenza che non deve essere mai dimenticata e soprattutto sminuita, solo così si sarà enormemente grati per le nuove mete raggiunte.
L’autismo come ogni sfumatura universale non deve elemosinare lo spazio che gli spetta, perché tutti hanno necessità di uno spazio vitale che è fondamentale per prendere atto dei propri limiti e sviluppare le proprie risorse.
Lo spazio e l’interazione devono essere concessi con naturalezza e come reciproci diritti, in quanto nascere autistici o neurotipici non è una scelta personale, un merito o un demerito, ma è semplicemente una condizione che richiede al suo percorso: tempi, strumenti e spazi, diritti e la possibilità sacrosanta di esercitare i propri doveri perché il mondo ha bisogno di tutti, nessuno escluso.
Splendide considerazioni di un’altra mamma specialissima, Michela Del Tinto, che condivido appieno.