Beautiful minds, wasted
Beautiful minds, wasted”.
Titola la cover di uno dei numeri dell’Economist dedicato all’autismo nelle sue varie sfaccettature.
Se l’alfiere del liberismo e della competizione, è arrivato a capire che i nostri ragazzi non sono un peso ma una forza propulsiva fondamentale per l’equilibrio della società e per le prospettive di crescita economica, vuol dire che si stanno sbriciolando anche le ultime resistenze “mentali” sul ruolo positivo che la disabilità può giocare.
Ma veniamo ai numeri e ai fatti riportati dall’Economist, partendo dalla dimensione del fenomeno. L’autismo è un fenomeno in crescita esponenziale. In base all’ultima ricerca del Center for Disease Control and Prevention (CDC) del 2014, mentre negli anni ’60 -’70 i casi diagnosticati erano 1 su 14.000 bambini, oggi siamo arrivati a 1 su 68 bambini (età del bambino presa a riferimento: 8 anni). Anche restringendo il confronto al 2008, il numero di casi è aumentato del 30%.
Non è ancora ben chiaro cosa sia alla base di questa crescita esponenziale.
In parte, è il risultato di una maggiore sensibilità al problema da parte delle famiglie e della scuola; in parte, è dovuto ad una più efficace attività di diagnosi da parte dei clinici; in parte, potrebbe dipendere dalle tecnologie che circondano il bambino, l’eccesso di stimoli, la minore socialità, etc. Ovviamente, i fattori sociali e quelli tecnologici interagiscono tra di loro.
I maschietti sono 5 volte più soggetti alla ASD (Autism Spectrum Disorder) delle femminucce. In genere, ma non sempre, i bambini affetti da ASD hanno un quoziente intellettivo superiore alla media, anche se le difficoltà di comunicazione e le tecniche di insegnamento non adeguate possono rendere il processo di apprendimento estremamente complesso e finiscono per tradursi in ritardi cognitivi.
Per questo una diagnosi precoce e un trattamento intensivo possono fare la differenza sia per il bambino sia per la società.
Il costo complessivo legato alla cura di una persona autistica nel corso della sua intera vita può essere tagliato di 2/3 se si interviene per tempo. E stiamo parlando solo dei “costi”. Non stiamo parlando dei “ricavi” per la società e le comunità di riferimento, ovverossia del contributo che una persona affetta da autismo può offrire. Certo, le ore da dedicare al trattamento specialistico fuori dall’orario scolastico canonico e all’insegnamento dedicato a scuola sono tante. E l’attività dev’essere individualizzata. Se nelle scuole elementari inglesi c’è un insegnante ogni 17 alunni, nelle scuole con la migliore prassi in tema di trattamento dell’ASD il personale dedicato è pari a circa 16 persone per 24 alunni. E affinché il trattamento abbia successo, il personale deve essere altamente specializzato. Non sono ancora state definite strategie efficaci di intervento, quando si passa alle scuole superiori.
Le probabilità di trovare lavoro sono minime: solo il 12% delle persone affette da forme non gravi di autismo ha un lavoro stabile e la percentuale si riduce al 2% per le forme più gravi. E non è un problema delle persone: il 79% vorrebbe lavorare.
Sono le aziende che non sono in grado di attingere a queste risorse, a partire fin dall’inizio, dal colloquio di lavoro, dove prendono in considerazione principalmente le doti comunicative, che magari non hanno nulla a che vedere con le competenze richieste e che non sono certo il punto di forza delle persone affette da autismo.
Le aziende potrebbero fare molto di più per il Welfare delle loro comunità di riferimento.
Innanzitutto, rispettando la legge sulla assunzione di persone disabili ma anche – e soprattutto – sforzandosi di capire come le varie disabilità devono essere trattate sul luogo di lavoro, individuando le mansioni corrette e magari adattandone le modalità di svolgimento alle specificità del lavoratore. Ad esempio, nell’esercito israeliano le reclute autistiche non sono mandate sul campo di battaglia ma vengono impiegate nell’interpretazione di immagini satellitari complesse in considerazione delle dispercezioni visive che amplificano il loro senso della vista.
Buescher et al (2014) sul Journal of American Medical Association hanno stimato che i costi diretti e indiretti di supportare un individuo affetto da autismo nel corso della sua vita sono circa pari a 1,9 milioni di euro. Se non ci sono problemi di disabilità intellettiva, i costi si riducono a circa 1 milione di euro.
Non varrebbe la pena investire sulla disabilità per fare di un costo… un investimento?
Tratto da VITA BOOKAZINE
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01/10/2017 at 12:22To je sadrzaj vrijednosti! 🙂
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Teresa Antonacci
08/10/2017 at 6:21Thank’s, have a nice day
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Teresa Antonacci
04/02/2018 at 9:18merci beaucoup