Dicono di noi. La dodicesima stanza
Pubblicato nel 2016 per la casa editrice Les Flaneurs, il nuovo romanzo di Teresa Antonacci è davvero una bella sorpresa. Pienamente radicato nella nostra Puglia, la storia si dipana geograficamente tra Polignano, Milano e Parigi per poi fare ritorno alla terra d’origine e alle radici.
Alina è una bambina prodigio, orgoglio della famiglia ma dal carattere vivace. Attesa per oltre dieci lunghi anni di matrimonio, finalmente, al limite della rassegnazione, arriva un tornado di bambina. Già a due anni sa leggere e si intrattiene con i Promessi Sposi, la Divina Commedia o Cicerone, Virgilio o più leggermente Esopo in lingua originale. In un primo momento questa bambina eccezionale è motivo di vanto per la mamma e il resto della famiglia, portata in palmo di mano e mostrata anche alle classi del liceo che stentavano nella lettura. Pian piano Alina si rende conto di essere unicamente attratta dai libri nei quali ritrovare e costruire un mondo piacevolmente diverso da quello che la circonda. I rapporti prima anaffettivi tra i genitori e poi burrascosi le negava l’affetto primario e fondamentale per la sua crescita. Unico riferimento forte e “paterno” è il nonno materno Giuseppe che con pazienza e amore intraprende lunghe passeggiate con la bambina rispondendo a tutte le sue curiosità, vagando per il centro di Polignano e narrando storie. La sua arte affabulatoria e comprensiva riesce a sedare l’animo impetuoso di Alina, fornendole sempre attenzione e stimolandone la sua avidità di conoscere. E’ così che la bambina, poi ragazza apprende le tradizioni, le storie ataviche di paese ma anche fondamentali principi di etica e società.
La storia della vita di Alina è speciale e nel breve romanzo scorre d’un fiato. Se dovessi narrarla, toglierei molto al fondamento del libro per cui lascio la curiosità a chi vorrà leggerlo.
La critica
La lettura de La dodicesima stanza ci introduce in un argomento molto delicato: l’autismo. Infatti Alina scopre di soffrire della Sindrome di Asperger appartenente allo spettro autistico. Quando prende coscienza di questo suo aspetto, finalmente Alina riesce a condurre una vita più “normale” poiché attribuisce il suo carattere, le sue manie e fissazioni (come venivano definite in modo improprio e popolare) alla patologia. Impara a conviverci, a prevenirle e a farsi aiutare nei momenti critici.
“Certo quando conosci la verità riesci a comprendere il perché di tante cose, riesci a collegare tutte le stranezze ed i comportamenti irrazionali”
La storia è avvincente e particolare, la lettura è sempre piacevole e mai pedante o angosciante nonostante i momenti drammatici della vita della protagonista. Ti rimane dentro. poetico e concreto allo stesso tempo.
Del breve romanzo ho apprezzato la capacità di riuscire a far vivere con realismo la Puglia quotidiana con tradizioni ancestrali (la dote, i pranzi di famiglia, i funerali) ma anche con profumi e odori della cucina e della terra. Grande riferimento è il mare, impetuoso o calmo, con quella salsedine che ti rimane addosso anche quando ne sei lontano.
“L’autismo è come il mare… puoi essere a chilometri di distanza da lui ma portartelo sempre addosso…è quell’attimo di calma apparente che ti riappacifica con il mondo mentre sta montando il maestrale”
Figure importanti nella vita di Alina sono state quelle dei nonni che con saggezza e semplicità trasmettevano sempre “come lasciar andare le cose”, e come lo scorrere sereno della vita fosse importante più della vita stessa. Momenti di ironia e allegria si alternano a sofferenza dovuta anche a mentalità chiusa e da paese. La vita al Sud vissuta come croce e delizia.
“Io non ero come loro. Io ero naif. Fuori posto dovunque fossi…”
Una frase molto forte che mi ha fatto riflettere sulle difficoltà costanti e quotidiane di chi soffre di questa Sindrome ma anche di chi ne è coinvolto, come familiari ed amici…quando ci sono. Per cui ho voluto corredare questa recensione con l’intervista all’autrice per cogliere ad approfondire alcuni interrogativi scaturiti dalla lettura.
D. La lettura del romanzo e la minuziosa descrizione delle situazioni personali di Alina, la protagonista, (il nonno che affabula, la lettura precoce, la malattia della madre, la scrittura dei romanzi) fanno presupporre molti riferimenti autobiografici. Fino a che punto si spinge l’esperienza personale nei suoi romanzi?
R. L’esperienza personale è predominante, nei personaggi e, del resto, è un dato di fatto che si riesce a raccontare bene ciò che si conosce meglio. Questo è. E Alina è la mia infanzia, con la passione per la lettura, con i ricordi del cuore e nonno Giuseppe che in realtà è uno zio materno che, purtroppo, non c’è più; persino nella malattia della madre della protagonista c’è un fondo di vita veramente vissuta. Non c’è autobiografia nel senso letterale della parola: la storia è realmente costruita sui personaggi e i personaggi sono vestiti di “noi”.
D. Lo scorrere piacevole della scrittura porta un messaggio positivo riguardo chi soffre della Sindrome di Asperger. E’ la sua visione personale o chi ne è coinvolto riesce a condurre una vita più serena se affronta il suo problema con fiducia e armonia?
R. Ho ricevuto la mia diagnosi sette anni fa, contemporaneamente a quella di mio figlio piccolo. L’aver saputo ufficialmente di essere un soggetto nello spettro autistico non mi ha cambiato la vita. Si nasce, con questa sindrome… e io ci ho convissuto senza saperlo, ma di certo non senza difficoltà, fino a pochi anni fa. Sono stata una bambina molto particolare; ero irrequieta, infaticabile, pedante, logorroica. Ero un “castigo di Dio”. Pochissime amicizie e altrettante poche persone in ambito familiare che riuscissero a tollerare le mie monellerie e le fissazioni. Molto intelligente e con pochi interessi speciali. Sono cresciuta con la consapevolezza di un bruttissimo carattere e maturata poi con la “colpa” di avere trasmesso quel pessimo carattere anche ai figli (due su tre); questa convinzione è perdurata e perdura ancora, pur essendo i miei figli più compromessi di me a livello relazionale. Credo tuttavia che la mia visione abbastanza “leggera” dello spettro autistico come caratteristica caratteriale delle persone mi abbia dato una mano forte ad affrontarne le sfide quotidiane che pure si avvicendano, alternando il bello al cattivo tempo. La sindrome di Asperger (classificata anche come autismo ad alto funzionamento) è una sindrome neurobiologica che comporta diversi livelli di compromissione e, soprattutto, differenze sostanziali da soggetto a soggetto. Ciò significa che possono esserci soggetti compromessi in maniera importante e altri che, invece, passano quasi inosservati, agli occhi dei più: ciò non toglie che anche questi ultimi non vivano una vita normale perché a livello sensoriale le dispercezioni sono tante così come le stereotipie.
D. Nicola diventa una quercia per Alina poiché le infonde la sicurezza di cui ha bisogno per avere una vita “normale”. E’ sempre così per gli Aspie?
R. La presenza di “un” Nicola così notevolmente differente da Alina, anagraficamente parlando, è legata a due scelte letterarie ben precise, una meramente interessante, l’altra effettivamente importante. La disparità anagrafica di una coppia, all’interno di un romanzo, rende appetibile la storia, fornendo motivi di interesse e curiosità in chi legge; in realtà ho voluto porre in evidenza la disomogeneità intellettuale tra Alina e i suoi coetanei e il conseguente forte interesse per qualcuno che è invece sul suo stesso piano intellettivo, seppure abbia alle spalle trentacinque anni in più di esperienze e studio.
D. Lei ha trovato nella scrittura il veicolo per canalizzare il suo temperamento. Si legge che molti personaggi famosi, da Mozart a Darwin, da Hitchcock a Steve Jobs, soffrissero di disturbi dello spettro autistico e dovessero la loro genialità “grazie” a questo aspetto che li dota di un’intelligenza superiore alla media. Quali sono le difficoltà maggiori per un Asperger nelle relazioni empatiche e sociali, partendo dal suo vissuto?
R. Gli Asperger in genere hanno un quoziente intellettivo nella norma, a differenza dello spettro autistico a basso funzionamento, anche se spesso si incrociano eccellenze intellettive, come nel caso di Alina. E di mio figlio più piccolo. Dovrebbe essere un bene, un valore aggiunto… invece è proprio per questo che emergono le maggiori difficoltà relazionali. Il vissuto di Alina è descritto appunto per mettere in risalto le discrepanze “caratteriali” che spesso dotano un Aspie di genialità matematica o geografica o mnemonica o informatica ma gli impediscono, magari, di svolgere le comuni attività quotidiane senza l’aiuto di qualcuno. È il caso di mio figlio, che a 12 anni è un genio informatico ma non riesce ancora a vestirsi da solo in modo autonomo ed efficace. In realtà gli Aspie sono tutto/niente, bianco/nero, amore/odio… fortemente disequilibrati a livello emotivo tanto da passare dall’allegria alla depressione nel giro di uno sputo di secondi. Talmente sbilanciati nelle loro emozioni da andare alla ricerca di conferme di autostima (che per loro scarseggia sempre). Ciechi dal punto di vista della comprensione delle emozioni altrui attraverso la mimica facciale e sordi nell’ascolto di frasi fatte o con doppi sensi, che non capiscono quasi per nulla. Insomma… siamo una baraonda di particolarità, genio e sregolatezza insieme oppure freddezza e rigorosità ma assolutamente sempre presenti, fisicamente e intellettivamente, anche quando sembriamo non essere accanto agli altri perché chiusi nel “nostro” mondo.
Annalisa Andriani
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